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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AI SOCI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE

Domenica, 8  febbraio 1948

 

Agli Eminentissimi Cardinali,
agli Eccellentissimi Rappresentanti degli Stati Esteri

e ai Soci della Pontificia Accademia delle Scienze
.

Nel ritrovarCi qui in mezzo a voi, illustri Accademici, per l’inaugurazione del nuovo anno di questa Pontificia Accademia delle Scienze, il Nostro pensiero non può insieme non tornare ancora una volta al Nostro indimenticabile e incomparabile Predecessore, fondatore di questo nobilissimo Istituto scientifico, e rappresentarcelo in quelle bianche vesti, di cui parvero un preludio e un augurio di altezza paterna le candide nevi delle Alpi, da lui un dì calcate con ardimentoso e franco piede, vincendo pericoli, abissi e bufere, avido com’era di raggiungere non solo le cime dei monti della natura, ma anche le vette della verità speculativa e pratica. Salendo gli pareva di vedere con sé ergersi i monti e avvallarsi i campi: ascenderunt montes, descenderunt valles [1], e, quando discendeva, rimirava nel candore del Duomo della sua Milano quasi un’alpe fulgida di meravigliose guglie, sorgente in mezzo alle pianure lombarde. Anche voi avete salito le alpi del sapere, i monti delle scienze speculative, del calcolo, dell’astronomia, dei vortici delle stelle e delle nebulose; e siete scesi nei piani delle scienze pratiche dalle mille forme di arte, di tecnica, di esperimento; perché è gran potenza dell’umano intelletto speculativo di estendere la mano all’operazione e divenire intelletto pratico, facendo delle leggi immutabili e delle materie della natura una guida e un sostegno nella sua azione sempre regolata e sorretta dal governo e dalla provvidenza di Dio.

Concezione e valore oggettivo delle leggi naturali

Ma nel nostro globo, agli occhi nostri, appare signore e potente sopra tutti i viventi naturali l’uomo, al quale Iddio assegnava di moltiplicarsi e popolare la terra e col suo lavoro procurarsi il pane di cui vivere; sicché non fa meraviglia che il gran Filosofo di Stagira Aristotele paragonasse l’anima dell’uomo alla mano, organo degli organi [2]. Tutto è infatti dovuto alla mano; le città e le fortezze, i monumenti, i codici della sapienza, della scienza, dell’arte e della poesia, l’eredità e il patrimonio delle biblioteche e della civiltà umana. Similmente l’anima è data all’uomo, per così dire, in luogo di tutte le nature delle cose per farsi in certo modo tutte le cose, in quanto l’anima nostra col suo senso e col suo intelletto riceve tutte le forme o immagini delle cose stesse. Lasciate pertanto che Noi ammiriamo la vostra mano e il vostro intelletto di discepoli della natura, quali voi siete, nelle vostre scuole, nei vostri laboratori, nelle vostre officine, nei vostri cantieri, nei vostri arsenali. Ma voi siete in un medesimo tempo maestri, e insegnate e proiettate fuori di voi non le forme sensibili e intellettive dell’anima vostra, ma per mezzo di quelle ciò che la natura ha causato e proiettato nelle vostre facoltà conoscitive. Voi nella vostra fantasia e nella vostra mente formate e inventate e architettate mirabili immagini e progetti di apparecchi, di strumenti, di telescopi e microscopi e spettroscopi e di mille altri mezzi d’ogni sorta per domare, incatenare e dirigere le forze naturali; tuttavia la vostra arte non crea la materia che sta nelle vostre mani, ma con l’artificio sapiente solo la modifica, ne regge l’azione secondo le leggi che vi avete scoperte, combinando e accordando la vostra conoscenza pratica e tecnica della realtà delle cose con la vostra conoscenza speculativa delle medesime cose reali.

In tal modo la genuina legge di natura, che lo scienziato formula con paziente osservazione e diligenza nel suo laboratorio, è assai più e meglio che una pura descrizione o calcolo intellettuale, che bada solamente a fenomeni e non a sostanze reali con le loro proprietà. Essa non si ferma né si appaga dell’apparenza e dell’immagine dei sensi, ma penetra nella profondità della realtà, ricerca e scopre le intime occulte forze dei fenomeni, ne manifesta l’attività e i rapporti. È quindi facile comprendere che la conoscenza delle leggi di natura rende all’uomo possibile il dominio delle forze naturali e il porle a proprio servigio nella tanto progredita tecnica moderna. Solo in tal guisa il pensiero umano può elevarsi a intendere come l’ordine regolare delle linee spettrali, che il fisico osserva e distingue oggi nel suo laboratorio, schiuderà forse domani all’astrofisico una più profonda visione e conoscenza dei misteri della costituzione e dello sviluppo dei corpi celesti.

Così dal fondamento della legge di natura, dal sussidio operoso della tecnica moderna, dalla positiva e vera conoscenza delle interne tendenze degli elementi e dei loro effetti nei fenomeni naturali lo scienziato procede, contro tutte le difficoltà e gli ostacoli, a ulteriori scoperte, insistendo con costanza e perseveranza nelle sue indagini.

L’Era atomica

Il più grandioso esempio dei risultati di così intensa attività sembra doversi ritrovare nel fatto che agl’indefessi sforzi dell’uomo è finalmente riuscito di giungere ad una conoscenza più profonda delle leggi che riguardano la formazione e la disintegrazione dell’atomo, e in tal guisa di dominare sperimentalmente, fino ad un certo grado, lo sprigionarsi della potente energia, che emana in molti di tali processi, e tutto ciò non già in quantità submicroscopica, ma in misura veramente gigantesca. L’uso di una gran parte dell’energia interna del nucleo di uranio, della quale parlammo nel Nostro discorso in questa Accademia del 21 febbraio 1943, riferendoCi ad uno scritto del grande fisico Max Planck (recentemente mancato ai vivi), è divenuto realtà ed ha avuto la sua applicazione nella costruzione della « bomba atomica » o « bomba a energia nucleare »; la più terribile arma, che la mente umana abbia, fino ad oggi, ideata.

In questa congiuntura non possiamo astenerCi dall’esprimere un pensiero che costantemente grava sull’animo Nostro, come su quello di quanti hanno un vero senso di umanità; e a tale proposito Ci sovvengono le parole di S. Agostino nella sua opera «De civitate Dei » [3], ove egli discorre degli orrori della guerra, anche giusta: « Dei quali mali — egli scrive — se io volessi narrare, come si conviene, le molte e molteplici devastazioni, le dure e crudeli angustie, benché ciò mi sarebbe impossibile come richiederebbe l’argomento, quando si giungerebbe alla fine della lunga disputa?… Chiunque considera con dolore questi mali così orribili e così funesti, deve confessarne la miseria; ma chi li sopporta e li pensa senza angoscia dell’animo, assai più miseramente si crede felice, perché ha perduto anche il sentimento umano ». Che se le guerre di allora giustificavano già una così severa sentenza del grande Dottore, con quali voci dovremmo noi al presente giudicare quelle, che hanno percosso le nostre generazioni e piegato al servizio della loro opera di distruzione e di sterminio una tecnica incomparabilmente più progredita? Quali sciagure l’umanità dovrebbe attendere da un futuro conflitto, qualora avesse a dimostrarsi impossibile di arrestare o frenare l’impiego delle sempre nuove e sempre più sorprendenti invenzioni scientifiche?

Ma prescindendo per il momento dall’uso bellico della energia atomica, e nella fiduciosa speranza che essa sia volta invece unicamente ad opere di pace, si deve ben riguardarla come una investigazione ed applicazione veramente geniale di quelle leggi della natura, che regolano l’intima essenza ed attività della materia inorganica.

Invero, a propriamente parlare, si tratta qui soltanto di un’unica grande legge di natura, che si manifesta soprattutto nel cosiddetto « Sistema periodico degli elementi ». Lothar Meyer e Demetrio Mendelejew nel 1869, sulla base degli scarsi dati chimici allora conosciuti, genialmente lo intravidero e diedero a quel sistema la prima forma provvisoria. Esso aveva però molte lacune e incoerenze; il suo senso profondo era ancora oscuro; faceva tuttavia congetturare una intima affinità degli elementi chimici e una uniforme struttura dei loro atomi da uguali particelle subatomiche. In appresso il quadro si schiarì di anno in anno, i difetti  e le imperfezioni svanirono e il senso più profondo si rivelò. Ci restringeremo qui a ricordare brevemente alcune delle tappe più importanti in questo cammino: la scoperta degli elementi radioattivi dovuta ai coniugi Curie; il modello atomico del Rutherford, e le leggi che lo regolano proposte per la prima volta dal Bohr; la scoperta della isotopia per opera di Francis Willian Aston; le prime frantumazioni del nucleo per mezzo di raggi alfa naturali, e poco tempo dopo la sintesi di nuovi nuclei pesanti mediante il bombardamento con neutroni lenti; la scoperta dei transuranici intravisti dal Fermi, e la produzione degli elementi transuranici in quantità ponderabile, e fra questi in primo luogo del Plutonio, che costituisce la parte attiva della bomba, e viene ottenuto nelle gigantesche « Pile di Uranio »; in una parola, un coerente sviluppo e perfezionamento del Sistema naturale degli elementi chimici in ampiezza e in profondità!

Se quindi abbracciamo con un solo sguardo il risultato di queste meravigliose indagini, vediamo che esso rappresenta non tanto una conclusione, quanto piuttosto l’adito a nuove conoscenze e il principio di quella che è stata chiamata l’« Era atomica ». Fino a poco tempo fa la scienza e la tecnica chimica si erano occupate quasi esclusivamente dei problemi riguardanti la sintesi e l’analisi delle molecole e dei composti chimici; ora invece l’interesse si concentra nell’analisi e nella sintesi dell’atomo e del suo nucleo. Soprattutto poi il lavoro degli scienziati non si darà tregua, finché non avrà trovato un facile e sicuro modo di governare il processo di scissione del nucleo atomico, in guisa da far servire le sue così ricche fonti di energia ai progressi della civiltà.

Mirabili conquiste dell’intelletto umano, che scruta ed investiga le leggi della natura, trascinando seco l’umanità per nuove vie! Potrebbe darsi concezione più nobile?

La legge di natura partecipazione della legge eterna in Dio

Ma legge dice ordine; e legge universale dice ordine nelle cose grandi come nelle piccole. È un ordine che il vostro intelletto e la vostra mano rinvengono derivante immediatamente dalle intime tendenze insite nelle cose naturali; ordine che nessuna cosa può crearsi o darsi da sé, come non può darsi l’essere; ordine che dice Ragione Ordinatrice in uno Spirito, che ha creato l’universo, e da cui « dipende il cielo e tutta la natura » [4]; ordine che hanno ricevuto con l’essere quelle tendenze ed energie, e con cui le une e le altre collaborano a un mondo ben ordinato. Questa meravigliosa compagine delle leggi naturali, che lo spirito umano con instancabile osservazione e accurato studio ha scoperte e che voi sempre più andate investigando, aggiungendo vittorie a vittorie sulle occulte resistenze delle forze della natura, che è mai se non un’immagine, pur pallida e imperfetta, della grande idea e del gran disegno divino, che nella mente di Dio creatore è concepito quale legge di questo universo fin dai giorni della sua eternità? Allora nell’inesauribile pensiero della sua sapienza preparava i cieli e la terra, e poi, creando la luce sugli abissi del caos, culla dell’universo pure da Lui creato, dava inizio al moto e al voto del tempo e dei secoli, e chiamava all’essere, al vivere e all’operare tutte le cose secondo la loro specie e il loro genere fino al più imponderabile atomo. Quanto a ragione ogni intelletto, che, come il vostro, contempla e penetra i cieli e pesa gli astri e la terra, deve esclamare, rivolgendosi a Dio: «Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti! » [5]. Non sentite voi, entro l’animo vostro, che il firmamento che ci avvolge e il globo che calchiamo, narrano insieme coi vostri telescopi, coi vostri microscopi, con le vostre bilance, coi vostri metri, coi vostri multiformi apparecchi la gloria di Dio e riflettono al vostro sguardo un raggio di quella sapienza increata che « attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter? » [6].

Da ciò l’unità chiusa delle leggi naturali

Lo scienziato sente quasi il palpito di questa sapienza eterna, allorché le sue indagini gli rivelano che l’universo è formato come d’un getto nella sterminata fucina del tempo e dello spazio. Non solo dei medesimi elementi splendono composti i cieli stellari; ma anche alle medesime grandi e fondamentali leggi cosmiche essi obbediscono, sempre e dovunque appaiono, nella loro interna ed esterna azione. Gli atomi del ferro, eccitati nell’arco o nella scintilla elettrica, emettono migliaia di righe ben definite; esse sono identiche a quelle che l’astrofisico scorge nel cosiddetto flashspectrum alcuni momenti prima della totalità dell’eclissi solare. Le stesse leggi della gravitazione e della pressione di radiazione determinano la quantità della massa per la formazione dei corpi solari nella immensità dell’universo fino alle più lontane nebulose spirali; le stesse misteriose leggi del nucleo atomico regolano, per mezzo della composizione e della disintegrazione atomica, l’economia dell’energia di tutte le stelle fisse.

Tale assoluta unità di disegno e di reggimento, che si manifesta nel mondo inorganico, voi la riscontrate non meno grandiosa negli organismi viventi. Restringete pure le vostre considerazioni alla causalità, e prescindete deliberatamente dalla finalità propriamente detta, che incontrate a ogni passo nello svolgimento della vita. Che mai vi mostra un semplice sguardo alla compagine universale e comune degli organismi e alle più recenti scoperte e conclusioni dell’anatomia e fisiologia comparata? Ecco la costruzione dello scheletro dei viventi superiori con organi omologhi, e specialmente la disposizione e la funzione degli organi sensitivi, per esempio, dell’occhio dalle forme più semplici fino all’organo visivo perfettissimo dell’uomo; ecco in tutto l’impero dei viventi le leggi fondamentali dell’assimilazione, del ricambio e della generazione. Tutto questo non palesa forse un generale e magnifico concetto unitario, attuato e risplendente in molteplici forme e in svariatissime maniere? Non è forse questa l’unità chiusa ed assolutamente fissa dalle leggi naturali?

Sì; è unità chiusa con la chiave di quell’ordine universale delle cose, contro il quale, in quanto dipende dalla prima Causa che è Dio Creatore, Dio stesso non può agire; perché, se così facesse, opererebbe contro la sua prescienza e la sua volontà o la sua bontà; ora in Lui « non vi è mutamento né ombra di variazione » [7]. Ma se si considera quest’ordine in quanto dipende dalle cause seconde, Iddio ne possiede la chiave e può lasciarlo chiuso o aprirlo e operare di là da esso. Forse che Dio, creando l’universo, si fece soggetto all’ordine delle cause seconde inferiori? Quest’ordine non è forse a Lui soggetto, quale procedente da Lui, non per necessità di natura, ma per arbitrio di volontà? Onde può agire oltre l’ordine istituito, quando voglia; per esempio, operando effetti delle cause seconde senza di loro o producendo altri effetti, a cui esse non si stendono [8]. Perciò già il gran Dottore S. Agostino aveva scritto: « Contra naturam non incongrue dicimus aliquid Deum facere, quod facit contra id quod novimus in natura… Contra illam vero summam naturae legem… tam Deus nullo modo facit, quam contra se ipsum non facit » [9]. Che opere dunque sono queste? Sono opere, di cui Dio solo tiene la chiave nel suo segreto e che si è riservate nel volgere dei tempi in mezzo all’ordine particolare delle cause inferiori; opere seguite, come cantava il divino Poeta, «a che natura, non scaldò ferro mai, né batté ancude » [10]. Davanti a tali opere, insolite, o per la sostanza stessa del fatto, o per il soggetto in cui avvengono, o per il modo e l’ordine con cui si compiono [11], il popolo e lo scienziato si arrestano stupefatti, perché la meraviglia nasce quando gli effetti sono manifesti e la causa occulta. Ma l’ignoranza della causa occulta, che stupisce l’incredulo, acuisce l’occhio del fedele e del sapiente, che, dentro certi limiti, sa e misura fin dove arrivi l’opera della natura con le sue leggi e forze, e di là da quelle scorge una mano superiore occulta e onnipotente, quella mano che creò l’ordine universale delle cose, e nel processo degli ordini particolari delle cause e degli effetti segnò il momento e la circostanza del suo mirabile intervento [12].

Tale concezione colma lo scienziato di entusiasmo…

Questo governo divino dell’universo creato nel suo ordine generale e negli ordini inferiori particolari certo non può non suscitare un sentimento di ammirazione e di entusiasmo nello scienziato, che nelle sue ricerche scopre e riconosce le tracce della sapienza del Creatore e del supremo Legislatore del cielo e della terra, il quale con mano d’invisibile nocchiero guida tutte le nature « a diversi portiper lo gran mar dell’essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti » [13]. Eppure le gigantesche leggi della natura che sono mai se non un’ombra e una pallida idea della profondità e dell’immensità del disegno divino nel grandioso tempio dell’universo? « Il sommo privilegio dello scienziato, lasciò scritto Kepler, è di riconoscere lo spirito e rintracciare il pensiero di Dio ». Spesso, — conviene confessare la umana debolezza, — davanti alla visione delle cose e delle immagini dei nostri sensi, quel pensiero si offusca e retrocede; ma se il pensiero di Dio entra nel lavoro dello scienziato, egli non lo confonde coi movimenti e con le immagini che vede o dentro o fuori di sé; e quella disposizione di animo a rintracciare e riconoscere Dio, viene a dargli nel suo laborioso studio il retto slancio e il largo compenso di tutte le fatiche sostenute per la ricerca e la scoperta, e, lungi dal renderlo orgoglioso e superbo, gl’insegna umiltà e modestia.

…ma anche di umiltà

Certo, quanto più profondamente il cultore del sapere e della scienza spinge la sua indagine nelle meraviglie della natura, tanto più sperimenta la propria insufficienza a penetrare ed esaurire la ricchezza del concetto della costruzione divina e delle leggi e norme che la governano; e voi sentite il grande Newton con incomparabile bellezza e rilievo dire: « Io non so come appaio al mondo, ma a me stesso appaio come un bambino, che giuoca sulla riva del mare e si rallegra, perché trova di tanto in tanto un ciottolo più levigato e una conchiglia più vaga del solito, mentre il grandioso oceano della verità sta innanzi a lui inesplorato ». Queste parole del Newton, oggi, dopo tre secoli, nell’odierno fermento delle scienze fisiche e naturali, suonano più che mai vere. Di Laplace si narra che, mentre egli giaceva infermo e gli amici che gli erano d’attorno ricordavano la sua grande scoperta, rispondesse, amaramente sorridendo: «Ce que nous connaissons, est peu de chose, mais ce que nous ignorons, est immense ». Né meno acutamente l’illustre Werner von Siemens, scopritore del principio di autoeccitazione della dinamo, attestava alla 59a riunione degli scienziati e dei medici tedeschi: «Quanto più intimamente penetriamo nell’armonica disposizione delle forze della natura, regolata da eterne immutabili leggi, e nondimeno così profondamente velata alla nostra piena conoscenza, altrettanto ci sentiamo più spronati a un’umile modestia, tanto più ci appare ristretto l’ambito delle nostre cognizioni, più vivo diventa il nostro sforzo per attingere più e più da questa inesauribile fonte della conoscenza e della potenza, più alta cresce la nostra meraviglia davanti alla infinita saggezza ordinatrice, la quale permea tutta la creazione ».

In verità le nostre conoscenze della natura sono modeste di estensione e spesso imperfette di contenuto. Su una trattazione della teoria elettromagnetica della luce si potevano leggere le parole: « È un Dio che scrisse queste formule? ».

Geniali certamente sono le equazioni di Maxwell; eppure esse, al pari di ogni simile avanzamento della fisica teorica, suppongono e implicano una, per così dire, semplificazione e idealizzazione della realtà concreta, senza cui è impossibile una fruttuosa trattazione matematica. Quanto spesso oggi possono proporsi non altro che regole in cambio di leggi esatte, o soltanto soluzioni parziali invece di soluzioni generali! Dove appare un comportamento regolare per la cooperazione, a primo aspetto senza regola, d’innumerevoli fenomeni particolari, lo scienziato deve appagarsi di segnare il carattere e la forma del contegno delle masse secondo considerazioni di probabilità, e, ignaro com’è in particolare della loro base dinamica, formulare leggi statistiche.

Incessante è il progresso della scienza. È ben vero che i successivi stadi del suo avanzamento non sempre hanno seguito il cammino che dalle prime osservazioni e scoperte conduce direttamente alla ipotesi, dall’ipotesi alla teoria, e infine al conseguimento sicuro e indubitato della verità. Si dànno invece casi, in cui la investigazione descrive piuttosto una curva; casi, cioè, in cui teorie — che sembravano aver già conquistato il mondo e raggiunto l’alto vertice di dottrine indiscusse, l’aderire alle quali conciliava stima in mezzo al ceto scientifico — ricadono nel grado di ipotesi, per poi, forse, rimanere del tutto abbandonate.

Nonostante però le inevitabili incertezze e deviazioni che ogni umano sforzo porta con sé, il progresso delle scienze non conosce soste né salti, mentre i ricercatori del vero l’uno all’altro si trasmettono la fiaccola investigatrice, a illuminare e svolgere le pagine del libro della natura, dense di enigmi. Come — nota l’Angelico Dottore S. Tommaso — nelle cose, che naturalmente si generano, a poco a poco dall’imperfetto si giunge al perfetto, così accade agli uomini circa la cognizione della verità. Infatti essi da principio conquistarono un poco della verità, e poi di passo in passo ne pervennero a più piena misura, non attribuendo al caso o alla fortuna l’origine del mondo e delle cose generali; ma, intuendo la verità con più diligente perspicacia, da evidenti indizi e ragioni dedussero che le cose naturali sono rette da una provvidenza. Come invero si troverebbe l’invariato e certo corso nel moto del cielo e delle stelle e negli altri effetti della natura, se tutto questo non fosse governato da un intelletto sovreminente? [14].

Per nuove e più ampie vie l’umanità si avanza, ma sempre pellegrina, verso più profonde conoscenze delle leggi dell’universo esplorato e inesplorato, come la sospinge la sete naturale del vero; però anche dopo millenni le cognizioni umane delle norme interne e delle forze motrici del divenire e procedere del mondo, e più ancora del disegno e dell’impulso divino che tutto penetra, muove e dirige, saranno e resteranno un’imperfetta e pallida immagine delle idee divine. Di fronte ai prodigi della sapienza eterna, che nel mar dell’essere con ordine indeclinabile tutto governa e indirizza ogni cosa a porti nascosti, sono ciechi e muti i pensieri indagatori dello scienziato, e sottentra quell’umile ammirante adorazione, che sente in faccia a sé il portento della creazione, cui non fu presente e che non può imitare la mano dell’uomo, ma nella quale l’occhio di lui può ravvisare un improvviso lampo della potenza di Dio. Innanzi ai molti imperscrutabili enigmi dell’ordine e del concatenamento delle leggi del cosmo immensamente grande e immensamente piccolo, bisogna che l’ingegno umano ripeta l’esclamazione: « O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei: quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius! » [15]. Fortunato lo scienziato se, nel percorrere i vasti campi celesti e terrestri, sa leggere nel gran libro della natura e ascoltare il grido della sua parola, manifestante agli uomini l’orma lasciata dal passo divino nella creazione e nella storia dell’universo! Le orme del piede e le sillabe vergate dal dito di Dio sono indelebili: nessuna mano d’uomo vale a cancellarle; orme e sillabe sono i fatti, donde si sprigiona il divino a tutte le menti; e proprio per i saggi intelletti investigatori sembrano scritte le parole del Dottore delle genti: « Quod notum est Dei, manifestum est in illis: Deus enim illis manifestavit. Invisibilia enim ipsius a creatura mundi, per ea quae facta sunt, intelletta conspiciuntur, sempiterna quoque eius virtus et divinitas » [16]. In una delle iscrizioni che ornavano il tumulo del grande astronomo Angelo Secchi nel giorno dei suoi funerali si leggeva: «A coeli conspectu ad Deum via brevis ».

Guardando da questa più alta specola il mondo universo, che sta ai piedi di Dio, non è malagevole comprendere come le cose naturali agiscano impreteribilmente e senza eccezione conforme alle tendenze della loro varia natura, ma che al supremo Creatore, Conservatore e Governatore, che sta sopra le cose e le leggi da Lui sancite e date alle creature, nessuna tendenza naturale può opporsi, mentre Egli rimane libero per sapienti motivi d’impedire o volgere verso altra direzione in casi particolari gli effetti e le attività di tali tendenze. In presenza della meravigliosa realtà del cosmo, che lo scienziato contempla, studia e scruta, lo spirito universale escogitato da Laplace, con la sua formula che, almeno secondo il concetto dei materialisti, dovrebbe abbracciare anche gli avvenimenti dipendenti dal pensiero e dalla libera volontà, appare una finzione utopistica; verità infinitamente reale è invece quella sapienza divina, che conosce e misura ogni più piccolo atomo con le sue energie e gli assegna il suo posto nella compagine del mondo creato, quella somma sapienza, la cui gloria penetra da per tutto nell’universo e splende di maggior luce nel cielo [17].


[1] Ps. 103, 8.

[2] Περί φυχήσ l. 3, c. 8.

[3] L. 19, c. 7.

[4] Par., 28, 12.

[5] Sap., 11, 21.

[6] Sap., 8, 1.

[7] Iac., l. 47.

[8] Cf. S. Th., 1 p. q. 105, a. 6.

[9] Contra Faustum, l. 26, c. 3; Migne, P. L., t. 42, col. 491; cf. S. Th., l. c.

[10] Par., 24, 101.

[11] Cf. S. Th., l.c., a. 8.

[12] Cf. S. Th., l. c., a. 7.

[13] Par., 1, 112-114.

[14] S. Thom in Libr. Iob Prolog.

[15] Rom., 11, 33.

[16] Rom., 1. 19-20.

[17] Par., 1, 1 e segg.

 



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