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SANTA MESSA NELLA CAPPELLA «REDEMPTORIS MATER»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 26 febbraio 1989

 

Nella terza domenica di Quaresima la Chiesa ci invita, attraverso la sua liturgia, a conoscere più profondamente la verità su Dio e, nello stesso tempo, sull’uomo: la verità su noi stessi. Dio che si è rivelato nel roveto ardente ha svelato a Mosé il suo nome: “Io sono colui che sono”. In mezzo alle diverse realtà che passano, tra la nascita e la morte, nello sviluppo e nella caducità, egli È, in verità È, esiste. Solo lui. L’unico Dio. È questo il messaggio che egli rivolge a tutte le generazioni. Anche a noi che oggi, celebrando l’Eucaristia, annunciamo la morte di Cristo, Figlio di Dio; professiamo la sua Risurrezione e attendiamo la sua venuta nella gloria.

Da questo Dio che è, e che, come dice il Salmo, perdona le nostre colpe, guarisce le malattie, salva dalla fossa la nostra vita, ci corona di grazia e di misericordia, agisce con diritto verso gli oppressi, che è buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, da questo Dio ci porta il cammino che egli stesso ci ha mostrato in Gesù Cristo.

Intraprendere il cammino verso Dio, il cammino che è Cristo, significa convertirsi: “Convertitevi, e credete al Vangelo”.

Le esperienze plurisecolari, e forse soprattutto quelle delle ultime generazioni, ci convincono che la causa dell’uomo, il suo nome, possono avere una garanzia efficace soltanto nel nome di colui che è: nel nome di Dio. Questa grande ispirazione, biblica ed evangelica, deve aiutarci a vivere, a non perdere la fiducia e la speranza, a conservare la nostra dignità, la nostra identità, la consapevolezza della nostra storica missione. Così infatti la vede il Concilio, il quale chiama i fedeli laici affinché accettando le esigenze della fede, corroborati con la sua forza, studino e realizzino nuovi propositi; affinché, con la coscienza ben formata, si prodighino a fare sì che la legge divina sia iscritta nella vita temporale; affinché cerchino, in un dialogo sincero, di illuminarsi reciprocamente, e di amarsi gli uni con gli altri, preoccupati prima di tutto per il bene comune.

Per questo vi siete riuniti a Roma, carissimi compatrioti! Vi do un cordiale benvenuto, saluto il Primate di Polonia, saluto il Cardinale Henryk, i Vescovi concelebranti, i sacerdoti, il consiglio del Primate arrivato dalla Polonia, e i numerosi rappresentanti delle comunità di emigranti polacchi che vivono in diversi paesi del mondo. Sono molto contento di potervi ospitare, e che possiamo concludere il programma del vostro incontro con la liturgia eucaristica della domenica odierna, celebrata qui, in questa cappella.

La Polonia e l’emigrazione polacca. Due elementi in un certo senso diversi, ma complementari, della stessa realtà, della stessa anima, cultura, dello stesso modo di pensare e di sentire, delle stesse aspirazioni, professioni, vittorie e sconfitte. Ci sono state e ci sono ancora molte questioni che provocano tra noi dolorose divisioni; ma sono ancora di più quelle che ci uniscono, come dimostra la storia delle generazioni. Ho parlato di queste cose molte volte e in diverse occasioni.

Oggi vorrei ripetere ancora una volta che l’emigrazione polacca è importante per la Polonia così come la Polonia è importante per l’emigrazione. Hanno bisogno l’una dell’altra. Hanno tutte e due bisogno del rinnovamento spirituale, morale e religioso, di un rinnovamento continuo poiché da esso nasce l’ordine interiore dell’uomo, l’ordine della famiglia, della società, della nazione, di tutta la famiglia umana. E da tale ordine nasce la libertà e lo sviluppo, individuale e sociale, economico e politico. Anche l’uomo, anche la società matura in questo senso.

L’azione dell’uomo sembra far maturare anche gli ordinamenti politici e sociali dell’Est e dell’Ovest, del Nord e del Sud. Di questa liberazione operata dall’uomo ha bisogno la terra, patria degli uomini.

Il brano evangelico che abbiamo ascoltato, la parabola raccontata da Cristo stesso, conferma ciò in cui crediamo, e cioè, che il programma di Cristo non è l’annientamento, ma la vita, e che egli desidera rendere i nostri animi sempre più fecondi, affinché possiamo portare il frutto in lui, affinché portiamo i frutti attesi da Dio. Il suo nome: colui che è. Il suo nome: Padre. Amen.

 

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