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MESSA A SANTA MARIA IN TRASTEVERE PER IL XXV ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 3 ottobre 1993

 

“Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna” (Is 5, 1).

1. L’intera Liturgia di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario proclama l’amore di Dio per il suo popolo. La pagina del Libro di Isaia presenta con accenti di alta poesia la storia d’amore di Jahvè per “la casa di Israele”: è un amore appassionato ed esigente, che non si rassegna di fronte all’infedeltà e al tradimento.

Ugualmente intenso ed ostinato è l’amore descritto nella parabola evangelica: il padrone della vigna non s’arrende di fronte all’ingratitudine e all’inaccoglienza degli uomini, dei vignaioli ai quali ha affidato la terra.

“Quando venne il tempo dei frutti, mandò i suoi servi...” (Mt 21, 34). Emerge con evidenza la sollecitudine di Dio per la “vigna” del suo cuore: Egli invia i suoi servi per ben due volte e, nonostante essi vengano duramente colpiti, alla fine, manda lo stesso suo Figlio: “Avranno rispetto di mio Figlio!” (Mt 21, 37).

Si manifesta così la grande attesa che Dio nutre nei confronti dell’umanità. Egli aspetta frutti buoni e gustosi dalla vigna da lui stesso piantata. Ed invece è l’opposto che si verifica. Fa riflettere il lamento contenuto nella prima Lettura: “Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica?” (Is 5, 4).

Quanti frutti amari ci sono sulla terra! Lo vediamo ogni giorno: guerra, odio, ingiustizia, ogni sorta di male. Frutti amari che avvelenano i cuori ed intere comunità umane.

Ma da dove essi vengono se non dalla filautìa, l’amore di sé che mira al possesso egoista della terra? Da dove vengono, se non dal rifiuto di accogliere gli inviati del Signore e soprattutto il Figlio suo, il Redentore dell’uomo? Solo aprendo il cuore all’amore di Dio, è possibile produrre frutti di conversione e di pace.

2. Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo oggi la misericordia del Signore, facendo memoria della vostra storia che conta ormai venticinque anni. Storia di apertura all’amore di Dio, di impegno per la pace e di gioiosa adesione alla chiamata di Dio che invita a lavorare nella sua vigna. Sin dai primi passi della vostra Comunità, prendendo sul serio l’invito evangelico, non avete chiuso il cuore al dolore dei poveri ed avete cominciato a concepire la vostra esistenza come debito d’amore e impegno permanente a dare frutti. Mi ritornano alla mente le parole che, visitandovi nell’aprile del 1980, ebbi a dirvi: “La fede deve essere realistica, perché niente che è realtà è fuori di Dio, è fuori dalla fede” (“L’Osservatore Romano”, 28-29 giugno 1980, p. 6).

Ed è proprio in continuità con quella mia prima visita che si colloca l’odierno incontro, particolarmente festoso e familiare. Esso avviene attorno all’altare per la celebrazione eucaristica, centro e culmine della vita ecclesiale, in questa antica basilica di Santa Maria in Trastevere, attigua alla chiesa di Sant’Egidio, sede della vostra Comunità.

Celebrare l’Eucaristia è il modo più significativo di ricordare il venticinquesimo della vostra esistenza. Sono lieto di poterlo fare insieme a tutti voi. Saluto i Signori Cardinali intervenuti, in particolare il Cardinale Camillo Ruini, mio Vicario generale per la diocesi di Roma, saluto il Metropolita Siro-ortodosso di Aleppo, Mar Cregorios Ibrahim, saluto i Vescovi, i Prelati e ciascuno di voi qui presenti. Un singolare pensiero rivolgo a Mons. Vincenzo Paglia, vostro Assistente ecclesiastico generale e al Prof. Andrea Riccardi, vostro Presidente.

3. Carissimi fratelli e sorelle! Il confronto appassionato con la realtà, specie quella della povertà, la vicinanza con gli anziani e i sofferenti nella solidarietà quotidiana, hanno caratterizzato il vostro viaggio lungo questi anni, prima nella diocesi di Roma e poi in altre città d’Europa e del mondo. “La vostra piccola Comunità dell’inizio – ebbi a dirvi per i vostri vent’anni – non si è posta alcun confine se non quello della carità” (Insegnamenti, XI, 1, 1988, p. 366).

Ma qual è la vostra costante risorsa spirituale in tale cammino apostolico? Voi cantate spesso, parafrasando le parole dell’apostolo Pietro: “Noi non abbiamo molte ricchezze, solo la Parola del Signore”. Eccola la vostra forza: è la fiducia nelle armi deboli della fede, che sono la preghiera, l’amore, l’amicizia. Nel Vangelo odierno è scritto: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo” (Mt 21, 42). La nostra società mette facilmente da parte nella sua costruzione la debole forza della fede, ma voi volete continuare ad essere fedeli a tale “debolezza”. L’esempio di costante preghiera nella chiesa, ormai piccola, di Sant’Egidio viene seguito anche dalle altre vostre Comunità. Siete divenuti come un albero frondoso, che estende i suoi rami nel cielo, ma che non dimentica mai il segreto della sua crescita dovuta appunto alla fedeltà a quel piccolo seme.

Qui, e nella vita di ciascuno di voi, la preghiera si accompagni sempre al servizio della carità. Siate carissimi fratelli e sorelle, una famiglia che, nel cuore di questa Roma incamminata verso l’Anno Santo del secondo Millennio, vuole tessere una rete di fede e di preghiera, di amore e di accoglienza.

4. La comunità di Sant’Egidio, tuttavia, non è solo a Roma. Quando siete venuti a visitarmi a Castel Gandolfo nel 1986, vi dissi: “Dove ci sono le altre Comunità di Sant’Egidio – anche non a Roma –, sono sempre “di Roma”. Questo è bello e mi tocca il cuore, come Vescovo di Roma, che sempre deve pensare non a Roma solamente, ma a tutto il mondo” (Insegnamenti, IX/2, 1986, p. 650). Le vostre Comunità portano il segno di questa maternità della Chiesa di Roma, che presiede nella carità ed è aperta al mondo intero.

Con il passare degli anni, avete sentito la sfida di questo amore universale e vi siete incamminati per le vie del mondo. La fraternità tra le Chiese particolari e la passione per l’ecumenismo vi hanno spinto a percorrere la via semplice ed ardua del cuore, per favorire l’amicizia tra i credenti. Attorno a voi si sono intessute significative relazioni di comunione ecclesiale e siete riusciti ad acquistare la simpatia di autorevoli pastori di altre confessioni religiose.

L’amore continua ad animare costantemente il dialogo che la vostra Comunità conduce con le grandi religioni non cristiane, in particolare con il mondo dell’Ebraismo e dell’Islam. Proseguite su tale strada! Grazie alla forza del rispetto e dell’amicizia potrete contribuire a superare difficoltà ataviche e ad abbattere muri d’incomprensione e di reciproca freddezza. Non è forse questo spirito di riconciliazione e di pace che voi vi sforzate di propagare mediante gli incontri internazionali da voi promossi? Ebbi a scrivervi qualche settimana fa, in occasione del recente Meeting internazionale a Milano, che sono lieto di vedere come il cammino avviato ad Assisi “prosegue ed attrae in maniera crescente uomini e donne di religioni e culture diverse, tutti uniti nell’unico anelito per il grande dono della pace” (“L’Osservatore Romano”, 24 settembre 1993, p. 5).

5. “Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto” (canto al Vangelo). La preghiera e la fedeltà all’amore divino procurano frutti abbondanti di gioia e di pace.

Costruire la vera pace, sgorgante dal profondo dell’esistenza cristiana come energia che si comunica, è la vocazione dei credenti. Ecco perché, negli ultimi anni, anche voi vi siete fatti solerti operai della pace, specie in alcune regioni del mondo travagliate da conflitti e da violente contrapposizioni.

Vi ha animato la consapevolezza che cercare quanto unisce gli uomini – come osservava il mio venerato predecessore, il servo di Dio Papa Giovanni XXIII – mettendo da parte quel che divide, favorisce il dialogo e la riconciliazione, aiuta a scongiurare la giustificazione dei contrasti in nome della religione ed anzi consente alle tradizioni religiose di promuovere la pacificazione tra le genti in lotta. Come non ricordare che proprio un anno fa, il 4 ottobre 1992, festa di san Francesco d’Assisi sono stati firmati a Roma gli accordi di pace tra le parti in guerra in Mozambico, dopo due anni e mezzo di trattative svoltesi proprio a Sant’Egidio? Domani, in quel caro Paese dell’Africa, a cui rivolgo un cordiale pensiero, su iniziativa della Conferenza Episcopale e della Comunità di Sant’Egidio, si terrà un incontro interreligioso di preghiera, per invocare la protezione divina sulla pace felicemente conquistata dopo sedici anni di guerra.

6. “Il Dio della pace sarà con voi! (Fil 4, 9).

Carissimi fratelli e sorelle! Quest’assicurazione dell’Apostolo, che l’odierna liturgia ci ripropone, animi sempre ogni vostro sforzo ed impegno apostolico.

In questo nostro tempo si intrecciano fermenti di pace e tristi eventi di guerra. Anche se talora sembrano dominare le forze distruttive del male “non angustiatevi per nulla”, ripete san Paolo, “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4, 6-7).

Continuate pertanto a camminare sulla via della santità e del servizio all’uomo.

La pace di Dio guiderà il vostro cammino; custodirà il cuore e la mente di ciascuno di voi.

Sia per tutti modello di mitezza e di fedeltà, Maria, venerata in questa Basilica nell’Icona della Madonna della Clemenza e della Pace.

Chi rimane in Dio “porta molto frutto”. Amen!

 

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