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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(16-23 GIUGNO 1983)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA PRESSO L'UNIVERSITÀ JAGELLONICA

Cracovia (Polonia) - Mercoledì, 22 giugno 1983

 

Egregio Signor Rettore Magnifico,
Senato Accademico della prima Università in Polonia,
Signor Ministro, Professori, Ricercatori, Studenti,
Egregi e Cari Signori.

1. Non posso nascondere che con una particolare commozione varco oggi la soglia dell’“Alma Mater Jagellonica”. Per molti anni, come abitante di Cracovia, mi sono incontrato abitualmente con questo complesso di edifici, che nascondono in sé l’Università, e tuttavia essa non ha perduto per questo nulla della sua grandezza. Non è diventata comune. È rimasta grande di quella fondamentale grandezza, che possiede nella storia della Patria e nella storia della cultura polacca, europea e mondiale. Così l’ha vista il suo allievo, Padre Pietro Skarga, quando chiamò l’Accademia di Cracovia “una felice donazione dei Re polacchi e l’ornamento di questa Corona” (P. Pietro Skarga, Vita dei Santi, 1855, p. 73). Nel mio contatto giornaliero con essa, avuto nei quarant’anni del mio soggiorno qui, neanche per un attimo ho perso la consapevolezza di essere in relazione con qualcosa di grande. Una di quelle cose che decidono del posto della mia Patria nella storia della cultura universale-umana.

2. Entrai per la prima volta tra le mura del “Collegium Maius” come allievo decenne della scuola elementare, per assistere al conferimento della laurea al mio fratello maggiore, laureatosi nella Facoltà di medicina dell’Università Jagellonica. Ho ancora oggi negli occhi quella cerimonia nell’aula universitaria.

Sono passati quasi trentacinque anni dal momento in cui mi fu dato di ricevere un’analoga promozione, nella Facoltà di teologia. Tale promozione costituiva la conclusione degli studi in un certo qual senso presso due università: quella Jagellonica e quella romana, l’Angelicum, dove studiai negli anni 1946-48.

3. I precedenti anni dei miei studi a Cracovia coincidono col periodo della seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazista. Iniziai gli studi nell’autunno del 1938 alla Facoltà di filosofia di allora, essendo iscritto alla facoltà di lettere. Porto profondamente impresso nella memoria quell’unico anno di studi prima della guerra: tutto l’ambiente universitario, i nomi dei grandi professori di cui ho avuto l’onore d’essere allievo, i volti degli amici e delle amiche, dalla maggioranza dei quali mi hanno separato gli eventi degli anni 1939-45. Con gioia tanto maggiore vedo alcuni di loro oggi qui presenti. Desidero porre nelle loro mani il ringraziamento per tutto ciò che debbo alla Facoltà di lettere dell’Università Jagellonica. Ancor oggi colgo i frutti di quegli studi che, di fatto, furono molto brevi e frammentari.

4. Nel periodo della clandestinità, durante l’occupazione, iniziai, come operaio in una fabbrica a Borek Falecki, gli studi alla Facoltà clandestina di teologia dell’Università Jagellonica. Era l’autunno del 1942. Fra le terribili prove della guerra, scoprii gradualmente in me la vocazione al sacerdozio, e imboccai una via nuova. Gli studi alla facoltà di teologia dall’autunno del 1942 segnano l’inizio di questa via. Essa passò prima attraverso la tappa della clandestinità, per poi proseguire, sin dal gennaio del 1945, negli studi regolari di questa facoltà.

Questo fu il secondo capitolo delle mie esperienze di studente, molto diverso da quello anteriore alla guerra, che in un certo modo completava il precedente. Come alunno del Seminario ecclesiastico maggiore di Cracovia, in quei primi anni del dopoguerra, potei partecipare alla vita della società accademica dell’Università; per un certo periodo di tempo fui persino vicepresidente dell’Aiuto fraterno degli studenti dell’Università Jagellonica “Bratniak”.

5. Dopo la fine degli studi e il dottorato di ricerca alla Facoltà di teologia, continuai a rimanere in contatto con l’Ateneo. Nel novembre del 1953 mi fu ancora dato di ricevere l’abilitazione nel campo della teologia morale. Fu quella l’ultima abilitazione alla Facoltà di teologia dell’Università Jagellonica, prima dell’esclusione di tale Facoltà - dopo quasi sei secoli - dall’organismo dell’Università: della più antica “Alma Mater” in Polonia. Della mia “Alma Mater”!

6. Mentre oggi, su gentile invito del rettorato, ritorno tra le sue mura, sento - così come la sentii sempre nel passato - questa storica grandezza dell’Università Jagellonica, alla quale la Provvidenza mi permise di legare, sebbene in modo alquanto frammentario, i giovani anni della mia vita. Attraverso il prisma di quell’indimenticabile e insostituibile esperienza, abbraccio gli oltre sei secoli di esistenza dell’Università al centro della storia della mia Patria.

“L’Università ha servito la verità e la Repubblica - scrive il Reverendo Konatanty Michalski - durante secoli interi, condividendo insieme con essa la buona e la cattiva sorte, le fortune e le calamità, così che tutta la Repubblica ha potuto dire con Jaghiello all’Accademia polacca: Figlia mia, ossa delle mie ossa e sangue del mio sangue” (Rev. Konatanty Michalski, Dove andiamo, Kraków, 1964, p. 91). Torno indietro fino all’anno 1364, agli inizi, durante il regno di Casimiro; ritorno all’anno 1397, a quel secondo inizio, unito con i nomi dei fondatori della dinastia degli Jagelloni, i quali furono contemporaneamente i rifondatori dell’Ateneo omonimo.

7. Quanti nomi grandi nella storia della Nazione, della scienza, della cultura! Basti nominare soltanto: Wojciech da Brudzewo, Mikolaj Kopernik, Maciej Miechowita, Stanislaw da Skalbmierz, Pawel Wlodkowic, Jukab da Pradyz, San Jan da Kety, Zbigniew Olesnicki, Stanislaw Hozjusz, Mikolaj Rey, Jan Kochanowski, Andrzej Frycz Modrzewski, Marcin Kromer.

Questi sono appena alcuni nomi del primo periodo dell’Accademia Jagellonica, che del resto è stato il periodo del suo particolare splendore.

8. Poi passano i secoli. Epoche della storia della Polonia, dell’Europa e del mondo. Epoche della storia e della scienza e della cultura. Attraverso tutti questi secoli l’Ateneo Jagellonico perdura nel cuore stesso della scienza e della cultura polacche.

Non è possibile far qui un elenco esauriente. Permettete di fermarmi su Jan Sniadecki, Hugo Kollataj, Zygmunt Wroblewski, Karol Olszewski, Marian Smoluchowski.

9. Ed ecco, ci avviciniamo ai nostri tempi. A quei grandi nomi, con i quali mi fu dato di incontrarmi ormai personalmente durante i miei studi. Basti nominare solo i professori: Pigon, Kolaczkowski, Klemensiewicz, Kamykowski . . . di essi vive ancora soltanto il professor Urbanczyk, il quale nel primo anno della Facoltà di lettere dirigeva come assistente le nostre esercitazioni di fonetica descrittiva. E in seguito nella Facoltà di teologia. Ricordo tutti i professori che vivono e quelli che ci hanno lasciato. Mi perdonino se non li nomino.

10. Una grande genealogia di maestri. E la genealogia dei discepoli di quella “madre delle scuole polacche” come l’ha chiamata Giovanni Sobieski, quando, dopo la vittoria di Vienna, depose sulla tomba di san Giovanni Kanty gli stendardi turchi. “Memore del fortunoso cibo della scienza nell’Università di Cracovia” (Iscrizione nella casa di san Giovanni Kanty). L’università è come una grande famiglia. Tutti uniti dal reciproco amore alla verità, di quella verità che è il fondamento stesso dello sviluppo dell’uomo nella sua propria umanità. Essa è anche il fondamento dello sviluppo della società nella sua identità più profonda.

Durante la mia visita all’UNESCO il 2 giugno 1980 ho detto: “Io sono figlio di una Nazione, che ha vissuto le più grandi esperienze della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua identità e ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua cultura. Questa cultura si è rivelata, all’occorrenza, d’una potenza più grande che tutte le altre forze . . . Esiste una sovranità fondamentale della società che si manifesta nella cultura della Nazione” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalibus organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere habita, 14, 2 giugno 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 1647-1648).

Quale sia la parte dell’Università Jagellonica nella creazione e diffusione di questa cultura, che forma la sovranità spirituale, lo sappiamo tutti.

Oggi - in queste circostanze veramente straordinarie - io, Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, sto davanti a questi ritratti, di fronte a questa grande genealogia accademica della mia “Alma Mater” Jagellonica e, come avviene di fronte a una madre, bacio le mani, per dare con questo gesto la testimonianza di quanto grande è il debito che ho contratto. Io personalmente, insieme con tutta la mia Nazione.

11. Se desiderate, Magnificenza, chiarissimo Senato, che io accetti il dottorato “honoris causa”, lo faccio in spirito di obbedienza nei riguardi dell’“Alma Mater”, anche se le regole del mio ministero non lo prevedono.

12. Sul portale di una delle aule dell’antica Università, proprio qui nell’aula del “Collegium Maius”, leggiamo questa iscrizione: “Plus ratio, quam vis”.

Ti auguro, Università Jagellonica, che nel settimo anno della tua esistenza tu rimanga sempre fedele a questo motto accademico. Che la tua presenza nella vita della Polonia di oggi serva alla vittoria di ciò che è degno dell’uomo come essere ragionevole e libero. Che essa tuteli dal predominio delle sole forze materiali. Ti auguro, Università Jagellonica - grande protagonista fra tutti gli atenei nella Patria - che tu possa sempre contribuire al consolidamento di tutta la vita polacca sui fondamenti della sapienza, della conoscenza e della rettitudine.

Chiedo che Dio benedica le successive generazioni dei tuoi professori e studenti.



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