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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CLERO DELLA SUA DIOCESI

Giovedì, 14 febbraio 1991

 

Monsignor Pro-Vicario,

all’inizio, ha usato la parola “udienza”. Questa volta “udienza” vuol dire che dobbiamo, noi Vescovi, e soprattutto il Papa, “ascoltare”. È udienza nel senso che noi non diamo l’udienza, ma la riceviamo. È molto utile un’udienza così impostata, almeno una volta all’anno. In questa dimensione per me accade una volta all’anno, ma in altre dimensioni capiterà più spesso perché cerco di avere queste udienze particolari, preparandomi a ogni visita pastorale alle parrocchie e ascoltando i parroci e i loro collaboratori. Così si arriva alla globalità di questa Chiesa romana.

Devo dire che questo itinerario “per partes” è abbastanza lungo. Dopo dodici anni siamo oltre la metà. Ci aspetta ancora molto. Siamo nelle mani di Dio per arrivare alla seconda metà. Voglio assicurare tutti che vorrei essere presente in ogni parrocchia, in ogni comunità di base, perché la parrocchia è e deve essere comunità di base. Questo non esclude altre caratteristiche presenti nei Paesi e nei Continenti e forse anche in Roma. Ma la comunità di base più tradizionale, più sperimentata e più qualificata è sempre la parrocchia.

Si è sentita molto la presenza del Cardinale Poletti in questa assemblea e io devo aggiungere che lui era in Roma prima del mio arrivo. Quando sono entrato in una terra sconosciuta lui già sapeva tutto e mi ha guidato dappertutto. Mi ha aiutato in tutto. Rimane in me sempre una grande riconoscenza e un grande affetto per questo fratello nell’episcopato, per questo Cardinale Vicario di Roma. Auguro anch’io, come tutti voi, che sia un buon auspicio per il nuovo Vicario di Roma, per il momento Pro-Vicario. Penso che i grandi cambiamenti che si sono operati nella Chiesa di Roma a livello di Curia di Roma, a livello di Vicariato, sono stati operati nel segno della continuità. In questo senso sono stati capiti questi cambiamenti dall’opinione ecclesiale e dall’opinione pubblica. È una continuità a livello di Chiesa universale, ossia di Curia Romana con i suoi impegni, e a livello di Vicariato di Roma, ossia di Chiesa di Roma con i suoi impegni diocesani.

Ringrazio Dio per questo clima, che è anche, si può dire, un esame, un esame positivo per la comunità cristiana di Roma e per il Presbiterio di Roma. Ritornando poi ai problemi, non possiamo prescindere dal Vaticano II. Io molte volte ritorno a questo evento, che è certamente un evento-chiave della nostra epoca, del nostro secolo. Il Vaticano II è stato un Concilio in cui la Chiesa si è espressa con tutta la sua esperienza: la Chiesa, come questa barca di Pietro, tormentata in diversi modi e in diverse epoche, anche nel nostro secolo, si è espressa attraverso il suo dolore, benché il tempo in cui si svolgeva il Vaticano II fosse abbastanza pacifico. Ma la situazione era tesa, molto tesa: la cosiddetta “guerra fredda” ha accompagnato l’opera del Concilio Vaticano II dall’inizio. Tuttavia, grazie alla Provvidenza di Dio, si è potuto fare questa grande riflessione, questo grande atto di Magistero della Chiesa, nel quale si sono riassunte l’esperienza e la tradizione di quasi due millenni e si è fatto un progetto per il futuro. Il Vaticano II, come documento globale composto da più documenti di diverso carattere, è un grande progetto dottrinale e pastorale per la Chiesa del futuro. Io porto in me questa profonda consapevolezza, sicurezza che esso è stato opera dello Spirito Santo, il quale ci ha assistito, ci ha aiutato a fare questo Concilio, ad esprimerci così in quel momento.

Ma adesso ci aspetta un altro compito, ossia l’attuazione successiva di questo Concilio, di questo progetto appunto: “Concilio-progetto”. Come tante altre Chiese locali e particolari, qui abbiamo trovato il Sinodo come metodo per questa attuazione. Ho ascoltato con molto interesse l’osservazione del Sinodo precedente, che era il primo, mentre l’attuale è il secondo: non ci sono molti Sinodi romani nella storia. Molte volte si pensa e si dice anche che quel primo Sinodo sia stato all’ombra del Concilio, sia stato piuttosto tradizionale, clericale, fatto solamente con criteri giuridici. Ma oggi abbiamo ascoltato una cosa molto interessante, molto positiva di questo Sinodo. Noi non possiamo prescindere, anche nell’attuazione e nei lavori dell’attuale Sinodo, da quello che è stato l’opera e il frutto del Sinodo precedente. Forse troppo facilmente si disprezza tale Sinodo, lo si ritiene una cosa già superata, non più attuale. Invece ha la sua attualità, perché anche in esso era presente lo stesso Spirito Santo che sempre assiste la sua Chiesa.

Il nostro Sinodo è differente, non può essere uguale al primo. Deve essere diverso a motivo del Vaticano II, perché il Concilio ci ha dato una nuova visione della Chiesa, una visione più adeguata, più aperta verso l’universalità del Popolo di Dio: universalità cattolica che si realizza nella Chiesa Cattolica e anche universalità umana, che si realizza in un certo senso in tutta l’umanità, perché tutti gli uomini hanno lo stesso Creatore e lo stesso Redentore: tutti sono creati da Dio Creatore, tutti sono redenti da Cristo Redentore. Così l’ecclesiologia del Vaticano II finalmente trova la sua chiave interpretativa in questa verità principale della fede. Questo pone molti problemi di tipo ecumenico, riguardo al dialogo con le altre religioni, con le altre tradizioni spirituali, con tutti gli ambienti umani, con tutta la contemporaneità, in diverse dimensioni. Direi che questo spiega anche il nostro atteggiamento nei riguardi di questa guerra.

Noi non possiamo vedere questa guerra con i criteri solamente politici, anche se i principi della giustizia internazionale sono certamente importantissimi e devono essere seguiti. Noi vediamo questa guerra con i criteri che ci ha suggerito il Concilio Vaticano II. Sono i criteri della ricerca mutua, che deve diventare mutua fra le diverse parti dell’umanità, soprattutto tra le diverse religioni, tra le religioni monoteiste.

Oltre le religioni, vi sono anche le realtà socio-economiche, socio-politiche. Sappiamo che il globo terrestre si divide in diversi “mondi”, il Primo, il Secondo e il Terzo, e molti dicono, e già viene citato nella Sollicitudo rei socialis, che esiste un Quarto mondo. La nostra preoccupazione è che la guerra può creare abissi più profondi tra questi mondi. Noi siamo preoccupati per la continuazione della nostra visione conciliare del mondo. Perché la Chiesa deve vedersi nel mondo e deve vedere il mondo attraverso la sua missione. La nostra preoccupazione maggiore per il futuro è che i popoli, in conseguenza di questa guerra, possano diventare ancora più contrapposti, ancora più nemici, invece di camminare verso un’intesa, una solidarietà, possibilmente universale. Essi possono ora diventare più divisi, più opposti, più nemici.

Tutti gli interventi della Chiesa e anche della mia persona, il mio ministero in questa materia, provengono da questa preoccupazione principale.

Naturalmente il Sinodo è il Sinodo della diocesi di Roma, e qui si deve cercare la luce dello Spirito Santo per sapere come attuare questa visione della Chiesa che ci ha dato il Concilio nella nostra Chiesa di Roma: come si deve fare realtà questa visione. Le circostanze non sono del tutto positive, propizie. Sappiamo bene - e anche dalle parole ascoltate è emerso chiaramente - che ci sono tante circostanze negative, contrarie. Ma noi dobbiamo essere sempre i figli di Abramo, che “speravit contra spem”. Così si compie anche il nostro ministero quotidiano nella parrocchia, nelle diocesi, nella Chiesa universale, e così si deve compiere anche il nostro ministero sinodale, nonostante tutti questi fattori, questi parametri contrari che ci dicono sempre più dell’assenza del sacro, dell’assenza di Dio nel mondo umano. Bisogna cercare di andare verso quello che è assicurato dalla nostra fede: l’Alleanza nuova ed eterna.

Noi siamo un popolo dell’Alleanza. Dio è fedele alla sua Alleanza. Noi non ci appoggiamo sulle nostre ricerche, sui nostri sforzi, sui nostri talenti, sui nostri metodi; ci appoggiamo sull’Alleanza, su questa certezza che Iddio è fedele. Lo ha dimostrato nell’Antico Testamento, quando era ancora un’Alleanza antica e transitoria, e lo dimostrerà nel Nuovo Testamento, in cui c’è l’Alleanza nuova ed eterna. Siamo tutti servitori di questa Alleanza. Si parlava prima di “generali”, con un linguaggio un po’ “militare”: si capisce bene, in tempo di guerra, anche un linguaggio un po’ militare non nuoce . . . Ma, per dire la verità, noi siamo soprattutto i “servi” di questa Alleanza, di questa fedeltà di Dio all’uomo.

Ecco quello che volevo dire, apprezzando molto il nostro incontro, apprezzando tutte le parole, tutti i suggerimenti, tutte le valutazioni che abbiamo ascoltato, apprezzando soprattutto la possibilità avuta di essere stati insieme.

 

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